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La Fondazione Mannajuolo e il Blu di Prussia

La Fondazione prende il nome da una famiglia che, dalla fine dell’800, ha fornito alla città di Napoli grandi contributi per la cultura, l’urbanistica e l’architettura. Infatti, si devono a Giuseppe Mannajuolo, assieme agli ingegneri Ricciardi e Borrelli, titolari dell’impresa omonima, gli interventi progettati da Giulio Ulisse Arata: l’architetto piacentino che, grazie a questo sodalizio imprenditoriale, realizzò quasi l’intero asse stradale di via Filangieri – dei Mille nel cuore del quartiere borghese che connotava al meglio il gusto della bella époque, esemplificato dallo scenografico palazzo Mannajuolo, la cui scala ellittica rappresenta uno dei più significativi esempi di architettura floreale italiana. Alla stessa compagine si deve anche il complesso delle Terme di Agnano.
Nell’immediato dopoguerra il figlio Guido inaugura, a via Filangieri, la prima galleria Al blu di Prussia, vera fucina di arte. Da qui sono passate le più ambiziose avanguardie artistiche degli anni Cinquanta, gruppo Sud in testa (quello di Montefusco, Barisani, De Stefano, Tatafiore, De Fusco, Tarchetti, Causa, Florio, De Veroli) che, con il Manifesto della secessione delle arti figurative e plastiche, riuscì a imporre alla scena nazionale “un dibattito fra realisti e astrattisti che tentava di ricomporre le due anime” del panorama artistico del tempo accogliendone i diversi linguaggi e gli obiettivi spesso contraddittori. Uno spazio dove i primi gruppi artistici si riunivano e le prime mostre sono state oggetto di scritti e racconti da parte di critici e storici, tra cui Marinetta Picone, Renato De Fusco, Nicola Spinosa e tanti altri. Come è stato notato, la galleria era “un buco elegante nell’elegantissima via Filangieri”, memoria e testimonianza di un mecenatismo progressista, attivo nel sociale, mosso dalla curiosità del nuovo e dal coraggio della sperimentazione linguistica.

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