Manigrasso
a cura di Diana Gianquitto
9 gennaio_9 febbraio 2013
Milite della Vita Materia, gesto, segno. Comunicazione, vissuto, analisi. Forma, composizione, luce. La nuova produzione di Giuseppe Manigrasso, che grafica tout court non si può di certo dire, travalica tecniche e significati, si situa, come è proprio di ogni ricerca dai più incandescenti valore e carattere sperimentali, a cavallo e al di sopra di media e sensi. Vi è nel suo grembo indubbiamente la pittura, con la magistrale lezione dell’Informale americano e ancor più europeo, nello scegliere e far parlare, come muti personaggi di un dramma che si svolge in punta di schegge, fusti, superfici accartocciate, la materia naturale o artificiale. Residui e testimonianze di passeggiate interiori o reali dell’artista, guerriero reduce dalle sua nutrita schiera di esperienze e vissuti sia artistici che umani, e proprio per questo capace, al termine delle sfide e dei combattimenti, superate le lotte con crepitio di scintille nell’attrito tra reale e ricerca, volontà e destino sia personali che creativi, riportandone forse solo alcune cicatrici – arricchimento e onorifico decoro, non certo sfregio – di sentire e percepire nella loro vera natura le attestazioni della vita, i materiali incontrati tra passi nel bosco o nell’ordinaria, rassicurante quotidianità del domestico. Tutto emana energia, narrazione di vissuto, esperienza. E solo gli occhi saggi del reduce sanno e possono attribuire il giusto peso formale e drammaturgico. Come il milite che di ogni sasso e zolla del campo di battaglia conosce l’anima. I frammenti di legno, i ritagli di cartone, i brandelli di plastica: eccole, le schegge e le scintille del vissuto, le concrezioni della vita, il precipitato vitale ed espressivo che resta al termine della sedimentazione del senso di ogni giornata, nello sguardo e nell’animo dell’artista. Presentati nel loro essere concreto e, al tempo stesso, rappresentati nell’evocazione e nella suggestione. Eccole, le storie e la Storia che i lavori di Manigrasso, dal fortissimo portato narrativo, dispiegano. Ma, in quelle opere, vi è anche, inconfutabilmente, scultura. Sfidando la bidimensionalità del supporto, con come unico esito possibile la vittoria della conquista della dimensione atmosferica, i frammenti drammaturgici di materia e vita dell’artista si dispiegano, si ampliano e respirano invadendo lo spazio, la tridimensionalità, l’oltre. E, negli equilibri compositivi e nel prosciugamento essenziale dei vocaboli della grammatica espressiva dell’artista, si riverbera la semplificazione vitalistica dell’Astrazione organica. Assenze e vuoti che respirano tanto quanto le presenze e i pieni, in un bilanciamento di positivo e negativo che attiene quasi all’estetica orientale e a riposti sensi filosofici Zen, sintesi induttiva della forma che dal particolare della manifestazione fenomenica induce e conduce, appunto, il e al noumeno. E, in tal modo, si svela anche un ulteriore livello del lavoro di Giuseppe Manigrasso: il suo essere anche, oltre che energia e vita respiranti in atto, narrazione, suggestione ed espansione formale, analisi. Filosofia, concetto. Cortocircuiti intellettivi innescati ed evocati anche da una sola parola, o da poche lettere. Via intima e lirica al Concettuale che tanto ricorda la geometria sentimentale di Vincenzo Agnetti. Un solido senso – però riscaldato da autenticità e innalzamento termico di riverberi emozionali – della coerenza e pregnanza della trasmissione di un messaggio attraverso un codice, che si riflette nella pulizia visiva della strutturazione formale, oltre che semantica. Struttura, solidità ed emozione. In una parola, architettura, l’amore mai abbandonato di Manigrasso e infine l’ultima, e più profonda, natura delle nuove ricerche dell’artista. In esse, sul fondo più intrinseco e sostanziale, ciò che respira più di ogni altro, a ben vedere, è il primo e l’ultimo degli elementi, quello da cui tutto inizia e a cui tutto tende: il vuoto. Lo spazio bianco, il foglio: architettura. Lo spazio del nulla da strutturare e costruire, da espugnare con quell’unica attitudine, fortemente prensile sul reale e sull’immaginario, che il vero creativo può avere nei confronti del mondo. Come il non-Io per l’Io di Fichte, lo spazio bianco dell’artista è la sfida dell’altro-da-sé da conquistare sempre e sempre da assimilare, inglobare in sé, allo scopo di procedere, svilupparsi, realizzarsi. In una parola, esistere. E Giuseppe Manigrasso, al Vuoto e al Nulla, non si è mai, ma proprio mai, né come Uomo né come Artista, arreso.
Diana Gianquitto
Galleria Fotografica
Galleria Opere
Rassegna stampa
In esposizione, un cospicuo corpus di lavori di nuova produzione: 185 tecniche miste di piccolo formato, tutte di nuova produzione, nelle quali coniuga segni e residui di materia. Un ciclo che, nell’incontro della grafica con l’assemblage, per inserimento di materiali e oggetti quotidiani, naturali e artificiali, rappresenta un ulteriore step della ricerca di Manigrasso, una ripresa della grafica che aveva già trattato negli anni degli inizi. Naturalmente con una consapevolezza e intensità differente dato che, in questo ulteriore accostarsi alla dimensione del “foglio”, egli fa confluire tutta l’esperienza e le sfide accumulate in circa un quarantennio di ricerca ed esperienze artistiche ed umane..