Federico Fellini

18 aprile 2024_31 ottobre 2024

 

Da giovedì 18 aprile 2024, la stagione espositiva della galleria Al Blu di Prussia (via Gaetano Filangieri, 42 – Napoli) – lo spazio multidisciplinare di Giuseppe Mannajuolo e Mario Pellegrino – prosegue con la mostra “Federico Fellini: disegni erotici e fotografie dal set”, un omaggio al Fellini disegnatore e fumettista.

A dare voce ad un altro aspetto della verve creativa con la quale il regista riminese accompagnava la propria attività di cineasta, un corpus di 29 lavori su carta (a matita, penna, pennarello) provenienti dalla collezione di Daniela Barbiani, per la prima volta in mostra a Napoli, accompagnati da 6 scatti cinematografici dal set “La città delle donne” dall’archivio della fotografa Patrizia Mannajuolo.

“I disegni esposti Al blu di Prussia, racconta Mario Pellegrino, ritraggono una serie di personaggi che dialogano con il proprio alter-ego sessuale, protagonisti di giochi di parole e significato, tra doppi sensi e metafore. Una serie di personaggi che mettono a nudo i propri genitali, omini impauriti davanti a donne prosperose. I protagonisti di questa collezione sono gli organi sessuali stessi, sempre enormi, esagerati, sproporzionati, genitali che sovrastano l’uomo”.

In linea con lo stile onirico dal taglio satirico ma anche malinconico di Fellini, i sei ritratti fotografici, inediti, del regista che Patrizia Mannajuolo ha scattato durante la lavorazione del film La città delle donne: 5 scatti in bianco e nero e 1 a colori che ben rende, per la sua pittoricità, l’atmosfera onirica del film e che racchiude tutta l’emozione di un incontro determinante. Di una stagione visionaria di sogni, passioni e inquietudini che ritorna anche nei disegni.

Tra i maggiori registi della storia del cinema italiano, Federico Fellini amava esprimere la propria creatività pure con il disegno, la vignetta ed il fumetto cui si dedicava sin dalla tenera età e come disegnatore professionista già prima del suo lavoro di regista e sceneggiatore.

“Questo dello scarabocchiare è una mania antica che mi porto appresso da sempre. Ai miei collaboratori, allo scenografo, al costumista, al truccatore soprattutto, cerco di dare delle idee meno approssimative di quelle che riuscirei a dare esprimendomi a voce, quindi fornendo già un’esemplificazione grafica del trucco che desidero su quel volto che ho scelto, o del costume alla costumista, o un’idea scenografica dell’ambiente, un tentativo di bozzetto. E un modo per cominciare a vedere il film in faccia, per cominciare ad abitare in maniera fisica con i personaggi, cominciare a mettermeli intorno. Fino a quando il film non comincia, la preparazione non entra in una fase di autentica preparazione, è soltanto un’immaginazione, una serie di immagini, di volti, di situazioni, di colori che abitano nella sfera dell’immaginativo, quindi estremamente fluttuante, eterica, impalpabile, imprendibile. Un modo per cominciare a vederlo materializzato è un pochino questo qui di usare pennarelli, colori…” (Federico Fellini, “Dizionario intimo per parole e immagini” a cura di Daniela Barbiani).

Patrizia Mannajuolo. Napoletana, si dedica alla fotografia sin da giovanissima, a Roma, frequentando lo studio di Vittorugo Contino e collaborando con registi, attori e produttori come Roberto Rossellini e il figlio Renzo, Liliana Cavani, Alberto Sordi, Monica Vitti, Augusto Caminito e Federico Fellini. L’opportunità di fotografare il fuori scena del film “La città delle donne” fu per lei l’occasione di conoscere e mettere a fuoco un Fellini capace di grande empatia, intransigente e tenero al tempo stesso, visionario e geniale.

 

Daniela Barbiani. Nipote di Federico Fellini, è stata sua assistente alla regia dal 1980 al 1993 negli ultimi suoi quattro film, E la nave va, Ginger e Fred, Intervista, La voce della luna. E’ autrice di testi e articoli per pubblicazioni, riviste e cataloghi, fra i quali Cahiers du Cinéma, Quoi de neuf, Fellini Amacord, Rivista di studi felliniani, I libri di casa mia, La biblioteca di Federico Fellini, Fellinicittà.

Nel 2011 ha pubblicato per Baldini&Castoldi il romanzo Infedele.  È proprietaria e curatrice di una collezione di 130 disegni che Fellini le ha regalato e che sono stati esposti in importanti musei e festival di cinema in tutto il mondo.

 

ALFA CASTALDI AL BLU DI PRUSSIA

“La fotografia di Alfa è stata davvero un grande contenitore di moda a – suo – modo, vissuta sempre con l’occhio del reporter, con l’etica del ricercatore, con il “clin d’oeil” degli amici artisti del bar Giamaica…”

Anna Piaggi, 2005

Dopo le mostre dedicate a Giovanni Gastel, Francesca Woodman, Guy Bourdin, Gian Paolo Barbieri, Al Blu di Prussia prosegue questa narrazione della fotografia internazionale con la prima personale a Napoli dedicata ad Alfa Castaldi.

La mostra è realizzata grazie alla collaborazione della Fondazione Mannajuolo con l’Archivio Alfa Castaldi che da anni compie un meticoloso lavoro di catalogazione, archiviazione, conservazione e gestione dell’opera del fotografo milanese, composta da oltre 12.000 immagini.

Alfa Castaldi è stato un protagonista ed un riferimento fondamentale della fotografia italiana dagli anni cinquanta fino alla sua morte, nel dicembre del 1995.

Nato a Milano, allievo prediletto di Roberto Longhi a Firenze, Alfa nei primi anni ’50 abbandonò l’idea di un impegno nella storia dell’arte con un probabile incarico ministeriale, prospettatogli dal grande studioso, per occuparsi di fotografia.

Rientrato nel capoluogo lombardo, iniziò a frequentare dal 1954 al 1961 il bar Jamaica nel quartiere di Brera, un vero e proprio circolo di intellettuali, pittori, scrittori e giornalisti, utilizzato anche come deposito per le macchine fotografiche in mancanza di uno studio dove lavorare. Al Jamaica, con Ugo Mulas, Mario Dondero, Carlo Bavagnoli, discuteva di cosa dovesse essere la fotografia ed il reportage, analizzava il lavoro dei grandi maestri della Magnum, leggeva “Life” per ispirarsi e mettere in pratica quanto appreso.

Fu così che iniziò a documentare la rinascita della vita culturale italiana, le nuove forme di espressione pittorica, gli scrittori, il giornalismo ed a dedicarsi al reportage: il Sud Italia, Parigi, l’Algeria, Londra.

Lavorando per diversi settimanali e mensili, fra cui “L’Illustrazione Italiana” diretta ai tempi da Livio Garzanti ed in seguito da Pietro Bianchi, “Settimo Giorno” di cui era caporedattore Guido Rocca e, saltuariamente, “Oggi” e “Le Ore”, realizzò, soprattutto per le prime due riviste, servizi in Italia di taglio socio – culturale ed all’estero, raccontando Parigi, la colonizzazione francese in Algeria, Londra, le manifestazioni antinucleari in Inghilterra, il nord Europa, l’architettura di Le Corbusier in Francia.

Nel 1958 conobbe Anna Piaggi, allora collaboratrice della rivista “Annabella”, un incontro determinante per entrambi, con la quale comincerà un ininterrotto rapporto di lavoro e di vita, sposandola nel 1962.

Alla fine degli anni ’60 Alfa aprì un primo studio fotografico dove, seguendo il costante filone dei suoi multiformi interessi e delle sue curiosità, si dedicherà alla fotografia di moda sempre in team con Anna Piaggi.

Emblematico, a riguardo, un servizio realizzato a Praga nel 1968 per la rivista “Arianna”, il primo di moda italiano ambientato nell’Europa orientale in un momento di grande cambiamento storico. I dettagli dei monumenti, dal municipio di Starè Mesto, alla casa natale di Franz Kafka, facevano da sfondo agli abiti disegnati e realizzati dagli stilisti d’avanguardia di allora, Walter Albini, Ken Scott, Krizia, Jean-Baptiste Caumont, solo per citarne alcuni.

Il 1969 segnò l’inizio di un’importante collaborazione con “Vogue Italia” ed in generale con tutte le riviste del gruppo Condè Nast: grandi servizi di moda e di pubblicità si alternavano ad incisive “annotazioni fotografiche” per la rubrica Box, antesignana delle Doppie Pagine (D.P.) di Anna Piaggi inaugurate nel 1988. Con uno “sguardo”, però, sempre rivolto al reportage di attualità, alternando la moda a collaborazioni con settimanali quali “Panorama” ed “Espresso”.

Quella di Alfa Castaldi è una fotografia colta: egli è stato innanzitutto un intellettuale, un uomo di cultura dai molteplici interessi, uno studioso che aveva un’idea progettuale ben precisa prima di cominciare a scattare. Un fotografo dai molteplici interessi per l’arte e per specifiche correnti pittoriche, per le condizioni sociali analizzate in chiave antropologica e magico – religiosa, per la letteratura: a riguardo Anna Piaggi scrisse che “nella sua camera i romanzi erotici del Settecento si alternavano alle fiabe italiane trascritte da Italo Calvino…scaffali di etnografia, di archeologia, di entomologia, di mitologia, di folklore”.

Tutto questo lo rese un outsider nel panorama fotografico italiano, non riconducibile alla sola categoria della fotografia di moda.

Suo figlio Paolo, curatore dell’Archivio, ha precisato a tal proposito che “sarebbe sicuramente riduttivo definire Alfa come ‘fotografo di moda’, il suo era un rapporto mercenario con la professione che rifuggiva a qualsiasi status di specializzazione, un po’ per la sua innata curiosità intellettuale che lo rendeva aperto ad ogni sperimentazione, ma anche perché questo era un carattere distintivo comune ai fotografi della sua generazione, la continua ricerca di nuove idee, nuove immagini, la fotografia intesa come spazio di estrema libertà espressiva, la libertà di fotografare ogni giorno in un modo diverso e nuovo.”

Con straordinaria capacità Alfa Castaldi si è mosso su molteplici fronti: dal reportage alla moda, dallo still life, con l’elaborazione di una tecnica “Fotocubista” e con la sperimentazione tecnica  dei suoi “Polaroid intrecciati”, ai ritratti specifici, alle foto dei graffiti parigini negli anni ’80, e poi i nudi, le foto di strada, le città.

Ed è proprio su questa sua trasversalità e libertà espressiva che pone l’accento questa mostra, intesa non come un’antologica o una retrospettiva completa sul lavoro dell’artista, ma come un esaustivo contrappunto critico – visivo per comprendere più approfonditamente i suoi molteplici interessi culturali e la versatilità della sua sperimentazione artistica, che lo svincolarono dal ristretto ambito della fotografia di moda, ponendolo, al tempo stesso, fra i più grandi autori di quest’ultima.

Sono state selezionate, così, dall’Archivio circa ottanta fotografie allestite in galleria seguendo un criterio tematico: ogni parete delle tre sale espositive, infatti, è dedicato ad un corpus specifico della sua produzione.

Entrando, nella prima sala, sono allestite le immagini tratte dal progetto Compagnia di Stile Popolare, una campagna che gli fu commissionata dalla rivista “Uomo Vogue” sulle radici dell’eleganza maschile della tradizione italiana, la cui realizzazione durò per diversi anni a partire dalla fine dei ’70, di cui una fotografia è in collezione permanente al Victoria & Albert Museum. Queste straordinarie fotografie furono eseguite dopo una sostanziale evoluzione dell’industria della moda che in quegli anni cominciò a chiedere ai fotografi precise specificità nella loro ricerca. Ciò implicò in Castaldi la necessità di una profonda riflessione che lo portò perfino a chiudere il suo studio di 500 mq. Rafforzando il suo spirito indipendente e il suo desiderio di sperimentazione, realizzò, così, una serie di ritratti di pastori sardi ed abruzzesi, contadini tirolesi e tabarri emiliani, in grande formato e sempre in esterni.

Come lui stesso scrisse nel 1995, poco prima di morire: “Cercavo – questo era l’incarico affidatomi da L’Uomo Vogue – le radici della naturale eleganza maschile e ritrovavo, di volta in volta, la purezza del disegno e dell’esecuzione artigianale, da sempre ragione prima dello stile. Così come riscoprivo l’autenticità di tessuti, panni, cotoni: tessuti fabbricati con estrema attenzione – con una cura essa pure artigianale – per gente che della qualità faceva una ragione di vita”.
Il primo pannello nella sala successiva può essere considerato un vero e proprio omaggio dell’Archivio Alfa Castaldi a Napoli: sono stati disposti, infatti, cinque lavori che realizzò nel capoluogo partenopeo nel 1960, dove arrivò al seguito di Franco Monzino, patron della Standa, per realizzare un servizio sulla ex famiglia reale.

Queste immagini quasi pittoriche che ritraggono Mergellina dal Borgo Marinari, con i pescatori in primo piano, riescono ad evocare i quadri ottocenteschi della Scuola di Posillipo, così come le altre, con scene popolari nei quartieri fra artigiani e musicisti di strada, donne e bambini che giocano, anziani e giovani fermi ad ascoltarli, più che negli anni sessanta, ci riportano nella Napoli del Risanamento, della Serao, di Scarfoglio e degli artisti Migliaro e Irolli.

Ampio spazio della mostra è dedicato alla moda e ai ritratti, insieme a quelli realizzati al bar Jamaica. Come ha già scritto Giuliana Scimè nel testo in catalogo della mostra su Castaldi, realizzata nel 2013 alla galleria di Carla Sozzani, egli “non si accontenta di riprendere abiti e modelle secondo i canoni tradizionali. E’ un ricercatore”.

Le oltre 20 foto esposte in galleria, realizzate fra il 1958 ed il 1991, infatti, dimostrano con evidenza quanto la moda in lui sconfinasse nel reportage quotidiano e viceversa. Dalla prima foto del 1958 a Firenze con le modelle in piedi sulla sua storica Land Rover, a quella che ritrae una sedicenne Veruschka all’interno dell’Accademia di Brera nel 1962, al “Bob Dylan poster dress” del 1967, fino al backstage attento e veloce delle sfilate o delle fasi di produzione delle collezioni. Una fotografia di moda, quindi, sicuramente innovativa, così come dirompente era la new wave di giovani stilisti a cui si dedicava e che in quegli anni emergevano nel panorama della moda italiana, Ken Scott, Walter Albini, Karl Lagerfeld, Gianfranco Ferrè, ad esempio, e che lui immortala anche in personali ritratti.

A riguardo iconiche sono le fotografie relative alla campagna realizzata nel 1971 per Walter Albini – Misterfox, straordinario e geniale artista morto nel 1983 a soli 42 anni: il primo a disegnare due linee di abiti, la WA più costosa e la seconda Misterfox, appunto, il cui nome gli fu suggerito proprio da Anna Piaggi; il primo a pensare all’Unimax, una linea in cui uomo e donna potevano scambiarsi i ruoli, infilandosi l’uno nel panni dell’altra, anticipando di cinquant’anni i discorsi sul gender fluid.

Fra i 30 ritratti in mostra, realizzati fra la fine degli anni cinquanta e la fine degli ottanta, non solo gli stilisti, ma anche architetti e designer, fra cui Sottsass e Aulenti, fotografi e artisti, come Toscani, Weber, Bailey, De Chirico, Marini, Munari, alcuni celebri di Anna Piaggi, attori e registi protagonisti del teatro e del cinema, Antonioni, Mastroianni, Vitti, ed uno straordinario Eduardo De Filippo, fotografato nel 1958 a Milano al Teatro Gerolamo, in occasione dello spettacolo Pulcinella vedovo e disgraziato, padre severo di una figlia nubile.

Accanto ad essi un ulteriore nucleo di tredici fotografie realizzate nel 1956 al bar Jamaica in cui si riconoscono, ad esempio, i giovani Aldo Bergolli e Guido Somarè che giocano a carte, un fantastico primo piano di Piero Manzoni, un intenso profilo di Mario Soldati, un giovane Ugo Mulas con la sua macchina fotografica rigorosamente al collo.

La sala cinema della galleria, infine, è dedicata alla proiezione di una serie di brevi video clips realizzati dall’Archivio, relativi a ricerche fotografiche non presenti nel corpus dell’esposizione, insieme ad alcune riflessioni video sul suo romanzo Ali Joo, opera letteraria inedita, rimasta incompiuta alla morte dell’autore.

Maria Savarese

Galleria

Rassegna Stampa

Opere